Barone Beneventano: un’etna winery tra i migliori viticoltori europei!

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Casa Editrice Cummo ha avuto il piacere di intervistare Pierluca Beneventano Della Corte, Amministratore dell’Etna Winery Barone Beneventano un’azienda tra i migliori produttori di vino. Dopo la laurea in Marketing e Comunicazione, ha iniziato il suo percorso nel mondo del vino diventando Sommelier e selezionatore di vini per l’azienda di famiglia. Percorso che l’ha portato ad approfondire le sue conoscenze ed alimentare la sua passione per il vino soprattutto perché espressione artistica della pratica agraria.

Qual è stata l’ispirazione dietro la decisione di coltivare viti sul versante Sud-Est dell’Etna e produrre vini che riflettano le peculiarità di questa regione?

Per me più che ispirazione è stata proprio una vocazione. Sono nato e cresciuto a Milano da padre Catanese, discendenti di una lunga dinastia che parte dal 1200 in Sicilia. Per me provare a creare un futuro in Sicilia per la mia famiglia è molto motivante. Poi ho la fortuna di provarci in uno dei territori più unici al mondo, l’Etna. Ma se la domanda è perché proprio il versante sud – est, sinceramente nasce da un’opportunità e da un colpo di fulmine che è stato supportato successivamente da un’analisi di fattibilità e dei benefici pedoclimatici.

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Come è iniziato il percorso del Barone beneventano?

Quando abbiamo iniziato questo percorso è stato proposto a mio Padre un bellissimo vigneto in contrada San Giovannello. Il classico vigneto Etneo: con il sistema di allevamento ad alberello, i muretti a secco poi i coni vulcanici, la vista sul mare e un bel casale storico da ristrutturare. Ce ne siamo subito innamorati! C’era poi quell’aria di sfida, i vigneti erano semi abbandonati e il versante sud-est non era inflazionato e forse un po’ sottovalutato anche se molto ben “frequentato” da tante aziende importanti e storiche Etnee.

Perché la viticoltura?

Io nasco, lavorativamente parlando, nel mondo del vino grazie a mio padre che è importatore e distributore di vino, soprattutto di Champagne, di cui possiede un marchio (Champagne Steinbruck ndr).
Fin da piccolo ho ricordi legati alla convivialità e la gioia del bere il buon vino e da quando ho iniziato a pensare a che lavoro volessi fare ho sempre voluto affiancare mio padre in azienda. Dopo la laurea ho iniziato a lavorare con lui, e piano piano mi sono avvicinato al lato produttivo/agricolo e ne sono rimasto sempre più affascinato.

Un giorno mio padre mi chiese se avessi voluto provare a diventare un viticultore sull’Etna. Da quel momento sono passati circa 10 anni e la mia vita si è completamente rivoluzionata.
Mi conforta pensare che nonostante le incredibili fatiche che si fanno per avviare un’azienda agricola sento che ogni passo in avanti, seppur in salita, non è poi così faticoso, o meglio: è come se fossi guidato da una forza di inerzia e ogni passo risultasse spontaneo ed inevitabile. Per questo penso sia una vocazione, alimentata da tanta passione.

Come il suolo sabbioso vulcanico, i venti marini e le forti escursioni termiche influenzano le caratteristiche delle antiche varietà autoctone dell’Etna presenti nei vini di Barone Beneventano?

L’ambiente pedoclimatico etneo rende la viticoltura unica.

Il suolo sabbioso ricco di materiale piroclastico che troviamo nei nostri vigneti è importantissimo perché è ricco di microelementi donati dalle viscere della terra. È un tipo di terreno drenate, quindi l’acqua va in profondità e non ci sono ristagni, negativi per le malattie fungine. La porosità del “ripiddu” (lapillo) aiuta a trattenere l’umidità facendo da serbatoio anche d’estate.

È una zona abbastanza ventilata, aiuta a tenere l’ambiente asciutto, quindi a fare meno trattamenti possibili (circa 3 all’anno) rendendo la nostra una viticoltura sostenibile a basso impatto ambientale.
Si dice inoltre che i venti che provengono dal mare aiutino i vini ad avere una nota più sapida che valorizza la freschezza delle varietà autoctone e caratterizza il nostro versante.

Le escursioni termiche, infine, sono molto importanti perché provocano stress termici che sollecitano la buccia soprattutto in autunno in fase di invaiatura. Anche in questo caso alcuni studi dimostrano quanto queste differenze di temperatura tra notte e giorno aiutino ad accumulare nella buccia sostanze aromatiche, contribuendo ad ottenere una migliore espressione varietale nel vino.

Come avete selezionato le varietà autoctone del territorio etneo per creare il vostro ETNA Bianco e quali sono le peculiarità che queste varietà portano al vino?

Noi abbiamo imparato da chi c’era prima di noi, che ci ha lasciato un patrimonio varietale autoctono ben variegato. Lo abbiamo studiato e cerchiamo di valorizzarlo distribuendolo nelle varie contrade, per esempio sui 600 metri abbiamo deciso di mettere più varietà a bacca rossa, viceversa a 800 metri puntiamo a mettere più bianco. Cerchiamo però di rispettare una proporzione varietale che aiuta ad ottenere un blend di varietà che da un vino equilibrato e caratteristico.

Un focus particolare lo stiamo facendo in piccoli campi sperimentali su varietà considerate reliquie perché si stavano perdendo. Alcune di queste erano presenti nel nostro vigneto e grazie anche all’università di Catania di agraria e il consorzio della DOC dell’Etna sta venendo fuori un bellissimo progetto che sicuramente caratterizzerà la crescita dell’areale.

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Potresti spiegarci la trasformazione che avviene nel vostro ETNA Bianco mentre invecchia, e quali aromi complessi e affascinanti si sviluppano nel tempo?

Io sono un grande fan degli Etna bianco invecchiati perché penso che solo con il tempo possano esprimere la loro grande potenzialità. Il Carricante, principale componente di un Etna bianco è una varietà neutra e particolarmente “fresca” (acida). Per me i vini che ne derivano si caratterizzano in 3 momenti: in gioventù sono più citrici al naso, con sentori di frutta esotica e in bocca sono molto freschi, quasi elettrizzanti. Nella seconda fase, a qualche anno dalla messa in bottiglia, questi acuti rientrano e diventano più piacevoli.

Ginestra, zagara, camomilla e paglia

Gli aromi che prima sentivamo al naso si trasformano in sensazioni più floreali: ginestra, zagara, camomilla, paglia. Infine, dopo circa 3/4 anni di bottiglia, inizia a tirare fuori il meglio di sé (per me), note uniche che richiamano il vulcano: pietra focaia, idrocarburi appena accennati ma presenti e in bocca un equilibrio, sempre un po’ spostato sulla freschezza che però diventa un bell’alleato, dando al bicchiere la facilità di beva che ti richiama al sorso. Ma quelle note così insolite ed affascinanti sono la cosa che mi esalta di più, sono inequivocabilmente legate al territorio di appartenenza.

Come definiresti l’eleganza ed equilibrio del vostro ETNA Rosso e quali sono le caratteristiche che lo rendono unico rispetto ad altri vini della regione?


Per definire però cosa intendo per eleganza bisogna immaginare un vino che ha al naso sentori delicati di frutta rossa (come la mora), di fiori (la violetta) e note leggermente speziate che ricordano alcune tostature. In bocca non dev’essere esageratamente strutturato ma facile da bere senza scadere nel banale. L’equilibrio sta nella percezione all’assaggio, un tannino presente ma non eccessivamente “ruvido” che diventa un alleato nell’accompagnamento al cibo. Un sorso che ti lascia però il palato fresco e pronto al nuovo assaggio.

Quali strategie ha adottato Barone Beneventano per promuovere e distribuire i vini sul mercato nazionale e internazionale? Avete sviluppato partnership o collaborazioni specifiche per ampliare la vostra presenza?

La prima strategia che ho adottato è stata quella di fare uno studio sui mercati, quindi trovare quali erano capaci di apprezzare e sostenere i costi di un vino fatto da viticultura eroica in una delle zone più uniche al mondo. Individuati i mercati target ho iniziato a fare tutte quelle operazioni per trovare importatori e farli diventare clienti-partner. Non è molto differente penso da tanti lavori commerciali, forse la difficoltà sta nell’incredibile concorrenza e nel cercare di far percepire la qualità di qualcosa che alla fine è soggettiva.
Più che partnership mi sono trovato molto bene per reperire informazioni e per l’organizzazione di alcuni eventi sia commerciali che di formazioni organizzati dall’ICE Italian Trade & Investment Agency. e Sicindustria. Queste più di tutte mi hanno messo a disposizione tools e iniziative che mi hanno aiutato a crescere nei mercati esteri.

Un’altra cosa importante che forse si sottovaluta sono i contatti: le amicizie, i colleghi (seppur competitor). Fare rete è una forma incredibilmente produttiva per crescere tutti insieme.

Come avete affrontato le sfide del settore vinicolo, come la concorrenza e le fluttuazioni di mercato, nel corso degli anni? Avete apportato modifiche o adottato strategie particolari per rimanere competitivi?

Purtroppo stiamo vivendo momenti storici per cui non c’è niente che ti può preparare. Personalmente mi sento fortunato a fare un vino in una delle zone più in voga del momento. I numeri parlano di crescita a due cifre anche nei periodi più bui di questi anni. Bisogna però sottolineare che questo è anche merito degli imprenditori che lavorano nella DOC, che stanno lavorando benissimo per far conoscere l’Etna nel mondo.
Noi ci stiamo impegnando nel portare avanti un progetto molto articolato che parte dal vigneto, dal suo miglioramento, portandolo in produzione e selezionando le varietà migliori che potranno esaltare la nostra idea di vino.
Il mio obiettivo è quella di sviluppare una linea di vini speciale, che valorizzi le sottozone e gli uvaggi (anche rari), attraverso scelte agronomiche ed enologiche che ci daranno vini unici e spero emozionali. Cercando di unire innovazione e tradizione. Questa è da sempre la linea guida che ho deciso di portare avanti. Ovviamente in un contesto di sostenibilità e tutela della natura, che per me è uno standard imprescindibile.

In che modo avete stabilito la vostra reputazione come produttori di vini di qualità e come avete mantenuto la fedeltà dei vostri clienti nel tempo?

Io cerco sempre di essere coerente e creare una comunicazione che valorizzi il valore umano e artigianale del mio lavoro. Parlare dei valori aziendali, di cosa ci ha spinto a fare quello che facciamo e perché abbiamo l’ambizione per farlo al meglio. Oltre a questo cerco di spiegare cosa facciamo, quali sono i mezzi che ci permettono di arrivare agli obiettivi prefissati. Infine racconto dei progetti futuri, delle chicche che vorrei realizzare e che sto già realizzando grazie all’aiuto di chi ci sceglie (partner e clienti), di chi si innamora del nostro progetto. perché alla fine è anche grazie a loro che non ci fermiamo davanti alle avversità.
Il punto è creare fiducia rimanendo coerenti e dando più informazioni possibili. In secondo luogo bisogna condividere il progetto facendo sentire i nostri stakeholder partecipi della nostra crescita. Non si tratta solo di una vendita, ma di qualcosa di molto più grande che alla fine premia tutti con il suo indotto.

Avete adottato pratiche sostenibili nella vostra viticultura o nella produzione dei vini? In che modo vi impegnate per preservare l’ambiente e rispettare la tradizione locale?

Sì da sempre sono stato suscettibile della bellezza della natura, non a caso ad un lavoro commerciale in una metropoli ho preferito un lavoro che mi riportasse a contatto con la natura.

Abbiamo la fortuna di lavorare in un territorio dove le malattie fungine (uno dei mali più comuni nella vigna) è abbastanza contenuto se confrontato con tante altre regioni. Quindi per noi è sempre stato facile stare al di sotto dei limiti imposti dall’agricoltura biologica. Solo 2 anni fa però ho richiesto la certificazione, questo perché per una piccola azienda significa una burocrazia in più e costi da sostenere. Ho cambiato idea solo perché in alcuni mercati lo richiedono per partecipare ai bandi dei monopoli di stato.

Non solo questo, ho fatto anche un master in biodinamica da cui ho però acquisito e fatto mie solo le nozioni che per me avevano valenza scientifica. Comunque continuo ad aggiornarmi per lavorare con pratiche poco impattanti.
Per valorizzare questa filosofia presto avvieremo una certificazione di sostenibilità, questo sarà utile per dare più garanzie possibili al cliente finale che magari non ci conosce e vuole avere maggiori informazioni leggendo solo la retro-etichetta.

Non solo una scelta di marketing

La speranza è che siano percepite per quello che sono veramente e non solo una scelta di marketing.
Per quanto riguarda la tradizione per noi mantenere un vecchio vigneto Etneo è stata una scelta economicamente difficile. Nel mio caso il sesto d’impianto è molto stretto e non è più allineato, ci sono diversi alberi da frutto e tutto questo obbliga ad una lavorazione manuale e tante difficoltà di gestione. Quindi perché mantenerlo? È stata una scelta di pancia. Che ha significato salvare piante anche scolari e offrire ai visitatori la possibilità di vedere un vero vigneto etneo. Un patrimonio paesaggistico che per me andava assolutamente tutelato perché caratterizzante del luogo.

Quali sono i vostri obiettivi futuri come azienda vinicola? State considerando l’espansione della produzione, l’introduzione di nuove varietà o la ricerca di nuovi mercati?


Sì, stiamo rimettendo a posto i vecchi vigneti, alcuni li abbiamo ripiantati da zero. (Non sapete che orgoglio vedere una contrada che cambia anche grazie ai miglioramenti apportati dal nostro lavoro.)

L’obiettivo è aumentare la produzione che attualmente è di circa di 5000 Bottiglie. Ovviamente con questi numeri il nostro lavoro non è sostenibile economicamente. Mi piacerebbe arrivare prima possibile a 20.000 Bottiglie anche se il nostro potenziale è molto più alto.

Più che di nuove varietà stiamo puntando a recuperarne di vecchie e quasi dimenticate…

Più che di nuove varietà stiamo puntando a recuperarne di vecchie e quasi dimenticate, sperando che siano di interesse per la DOC e che ci seguano altri produttori. La differenziazione trovo sia uno dei modi migliori per creare della competizione positiva, visto che il nostro territorio è molto piccolo non potrà lavorare sulle quantità. Dobbiamo per forza spingerci sulla qualità e puntare delle nicchie di alto livello.

Per quanto riguarda i mercati, ci sono ancora delle zone in target dove non sono ancora riuscito a trovare un partner. Per fortuna non sono preoccupato perché abbiamo ricevuto risultati incoraggianti e sono sicuro che piano piano riuscirò a completare il puzzle che ho in testa.

Barone Beneventano ha mai vinto dei premi per i vini? Potresti parlarne?

Abbiamo ricevuto premi ma soprattutto tanta attenzione da diversi media per tutti i vini.
Il rosato che ho fatto solo nel 2018 è arrivato terzo ad un concorso di soli vini del sud. Il bianco e il rosso hanno ricevuto tante recensioni anche da testate molto importanti.
Per me il vero premio è sapere che ci sono ristoranti stellati, in generale dell’alta ristorazione italiana, da nord a sud che comprano con costanza i miei vini. Sapere che sono apprezzati in certi ambienti per me è un ottimo segnale.

Un metodo raro

Infine, qualche giornalista che ha avuto la fortuna di provare il mio vino sperimentale dato da uve reliquie e un metodo di vinificazione raro ha scritto dei bellissimi articoli, per me molto motivanti.

Sto aspettando di realizzare la mia cantina, ora mi appoggio ad una cantina di un produttore amico. In questo modo avrò più libertà e potrò mettere in pratica alcune idee che ho in mente da tempo. Sicuramente grazie a questo farò un’importante passo in avanti per il raggiungimento di alcuni obbiettivi che saranno molto valorizzanti per il futuro della mia azienda.

Avete mai utilizzato bandi a fondo perduto?

Tema dolente e sofferto perché sono stato inizialmente seguito male e ho imparato l’importanza di trovare dei consulenti capaci in questo contesto.
Per fortuna l’anno scorso siamo finalmente riusciti a presentare due domande per due misure del PNRR.

Il primo relativo ai paesaggi rurali che è stato approvato, per cui dovremmo iniziare i lavori a breve. Il progetto prevede la ristrutturazione di un vecchio Palmento del XVIII, che sarà un punto nevralgico per fare ospitalità nella mia azienda.

Il secondo è un progetto molto complesso: un Contratto di Filiera. Questo unisce diversi progetti di diverse aziende, in questo caso la maggior parte sono del Consorzio DOC dell’Etna e del vino Nobile di Montepulciano. Per farla breve, tutte queste aziende hanno presentato dei progetti di miglioramento delle proprie aziende che rispettassero i requisiti anche e soprattutto in un’ottica di sostenibilità.

Ecco, se questo progetto verrà approvato, finalmente noi riusciremo a creare la nostra cantina e apportare qualche miglioramento in generale alla nostra azienda. Incrociamo le dita.

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